Aprile 19, 2024

L’amore che Dio ha per noi non ha limiti!

COMMENTO AL VANGELO DI LUCA 15, 1-32

I destinatari dell’insegnamento di Gesù, in questo passo del vangelo, sono gli scribi e i farisei. Come gli scribi ed i farisei anche noi oggi siamo spesse volte portati a giudicare gli altri ma teniamo ben presente che non spetta a noi giudicare il progetto di Dio nei confronti dell’uomo e dell’umanità, altrimenti corriamo il rischio di mormorare come i farisei e gli scribi e non lasciamo che l’azione dello Spirito Santo possa agire nel cuore dei peccatori per riempirli del Suo Amore. Dunque, questo primo passaggio del vangelo ci deve far capire che, mentre il peccatore sente il bisogno della misericordia di Dio, il giusto non la vuole né per sé né per gli altri, anzi si irrita anche con Dio. In questo modo rifiuta Dio, che è misericordia, in nome della propria giustizia.

L’iniziativa della salvezza è di Dio, il quale non attende il ritorno del peccatore smarrito, ma lo va a cercare, gli va incontro, lo porta al sicuro, lo porta a casa sua, addirittura va a chiamare gli amici e fa festa perché è stato ritrovato il suo tesoro prezioso. La gioia di Dio per il ritorno del peccatore sta nel vedere riconosciuta e accolta la sua misericordia. Quindi la gioia di Dio sarà piena quando tutti, anche i “giusti”, si convertiranno.

Come si è intuito, in realtà la pecora non si è convertita. Non siamo noi che ritorniamo a Dio, ma è lui che viene a cercarci. Convertirsi quindi è volgere il nostro sguardo dal proprio io a Dio!

Nella parabola della pecora perduta il protagonista era un uomo, figura di Dio, pastore d’Israele. Nella parabola della dracma perduta è una donna, figura dell’amore materno di Dio. «Dio mi è più madre di mia madre: è lui infatti che mi ha tessuto nel seno di mia madre» (Sal 139,13). Egli, ama ciascuno dei suoi figli di amore pieno e totale, e come una madre, se ne manca uno solo dei suoi figli, sente che la sua casa è vuota.

Dio ci ama in questo modo infinito non perché siamo bravi, ma perché siamo suoi figli! E il fatto che siamo peccatori, pecore perdute e dracme smarrite, ci rende oggetto di un amore più grande. Il nostro valore è infinito, pari all’amore di Dio che ha portato Gesù Cristo a dare la vita per noi. Il Signore dice ad ogni uomo: «Tu sei prezioso ai miei occhi, sei degno di stimai e ti amo» (Is 43,4).

La dracma mantiene tutto il suo valore anche quando è perduta o ritrovata tra la spazzatura: l’uomo è il tesoro di Dio anche quando si perde e viene ritrovato nella spazzatura del peccato e della degradazione.

La parabola del Padre misericordioso e del figlio perduto e ritrovato ci rivela in definitiva il messaggio che il Signore ci sta donando ed è il centro del vangelo, ovvero ci consegna Dio come Padre di tenerezza e di misericordia. Egli prova una gioia infinita quando vede tornare a casa il figlio da lontano, e invita tutti a gioire con lui.

Oggi, allora, siamo chiamati a fare una scelta: conformarci al pensiero dei farisei, quindi illuderci di percorrere il sentiero del discepolato unicamente con le nostre forze, senza puntare lo sguardo verso l’Alto e senza scorgere la grazia di Dio nella quotidianità? Oppure: rimettere la nostra esistenza nelle mani del Maestro, a Colui che può riconsegnarci la libertà dal peccato e farci realizzare nella storia quali figli amati da Lui? Ma chi ci darà la forza di corrispondere al Suo amore e agire nel bene? San Paolo afferma che: «Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori» (1Tm 1,15), per strappare dal male ciascuno di noi. Ciò significa che non dobbiamo rattristarci per le nostre colpe, per i nostri difetti: Cristo Signore è il nostro Salvatore, ci libera sempre dalle catene dell’oppressione. Questa è la bellezza del cristiano: abbiamo un Dio che non ci condanna per quello che facciamo, bensì ci affranca, ci redime per quello che saremo e che siamo ora, figli di Dio. Per attuare la libertà d’amore, però, occorre la nostra disponibilità alla Sua opera. Dobbiamo cercare di comportarci come il figlio della parabola. Questi si è allontanato dal padre, da Dio, convinto di trovare l’emancipazione fuori dai confini paterni; invece si è reso conto di essere rimasto prigioniero dei suoi errori, delle sue illusioni, dei suoi peccati. Allora, si è ricordato dell’atteggiamento del padre, del suo amore e ha fatto ritorno a casa. Il padre lo accolse baciandolo, gli fece indossare “il vestito più bello”, immagine della misericordia infinita che viene riversata su di noi, e ordinò ai suoi servi di fare festa, cioè allontanare l’egoismo, l’amor proprio, la vanità che ingabbia i nostri cuori, per cedere alla logica festosa della generosità del Padre.

Nella parabola, probabilmente, non si deduce subito il primo passo di Dio verso la nostra conversione, ma in realtà vi sono due elementi importanti su cui riflettere. Il primo è il ricordo di Dio nel figlio, in noi. Dio si ricorda di ognuno di noi!

Il secondo è l’attesa del padre alle porte della sua proprietà. Dio ci attende trepidante, anche se ci allontaniamo da Lui, ogni giorno Egli scruta l’orizzonte e ci attende con un cuore ricolmo di Amore misericordioso!

Dobbiamo essere riconoscenti e fiduciosi nell’azione di Dio nella nostra vita perché Egli ci dona la forza di individuare nei sentieri del mondo il Suo dolce silenzio d’amore, fiduciosi perché Egli non ci abbandona mai, è con noi, vuole stare fra noi, e ci attende, sta alla porta, perfino se lo escludiamo dalle nostre vite, dalle nostre comunità, dalle nostre famiglie, dal nostro lavoro.

Amen! Alleluja!

Accolito Pierpaolo Morello