Dicembre 5, 2024

Dio non è dei morti ma dei viventi

XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
DIO NON È DEI MORTI, MA DEI VIVENTI
(Lc 20,27-38)

A pochi giorni dall’esaltazione dei Santi e dalla Commemorazione dei Defunti, si torna a parlare della vita ultraterrena presentando l’argomento del paradiso subito dopo la morte fisica e della resurrezione finale al momento del giudizio. I capitoli 20 – 21 del Vangelo di Luca descrivono Gesù come un maestro seguito dai discepoli e dalle folle. Questa sua attività provoca domande, a riguardo della sua autorità, da parte dei sacerdoti e scribi che gli chiedevano “Spiegaci con quale autorità fai queste cose o chi è che ti ha dato questa autorità”.
Tre sono le domande che Luca riporta nel suo vangelo con l’intento di screditare l’insegnamento di Gesù: la prima riguardava il battesimo di Giovanni (Luca 20,1-8), la seconda il pagamento del tributo a Cesare (Luca 20,20-26), e la terza domanda di cui parla il Vangelo di questa domenica posta questa volta dai sadducei.
Il tema è la resurrezione dei morti.
Il caso proposto a Gesù, chiaramente paradossale, potrebbe essere inteso come il tentativo di ridicolizzare la fede nella risurrezione e dimostrare la sua non competenza sulla resurrezione dell’anima.
Gesù però non cade nella trappola ma, come spesso accade, usa la domanda per condurre i suoi interlocutori ad un livello più alto, sottolineando la loro incapacità di comprendere Dio, di ascoltare la sua voce custodita nella Scrittura e nella tradizione d’Israele.
Al tempo di Gesù c’erano i farisei che parlavano della resurrezione dei morti intesa come la ripresa e la continuazione della vita presente. Ai farisei si opponevano i sadducei che accettavano soltanto i primi cinque libri della Bibbia, cioè la Legge di Mosè, e negavano la risurrezione perché la Legge non ne parla.
Partendo, appunto, da questa imposizione della Legge, i sadducei intendono mettere in ridicolo la fede nella risurrezione e espongono a Gesù il caso di una donna che ha avuto successivamente sette mariti… questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie.
La risposta di Gesù si articola in due parti.
La prima indicazione è che non si tratta di due vite, ma della stessa vita. Anzitutto Gesù precisa che l’aldilà non è un prolungamento dell’attuale condizione terrena ma una realtà completamente nuova, distinguendo “questo mondo” dall’ “altro mondo”. Sono due mondi successivi, l’uno diverso dall’altro. I “figli di questo mondo prendono moglie e marito”, perché sanno di dover morire e quindi devono assicurarsi una discendenza. “Ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo non prendono moglie né marito”, perché “non possono più morire”. Si tratta di una vita completamente nuova, molto di più che il semplice rimanere vivi nella memoria dei sopravvissuti. Gesù ci parla di una vita qualitativamente superiore a quella che stiamo sperimentando ora, in cui non avremmo più neanche bisogno di legare a noi mariti o mogli, perché non ci mancherà nulla. Saremo totalmente appagati dalla visione di Dio senza la prospettiva di una seconda scadenza.
I risorti “sono uguali agli angeli”, i quali vivono al cospetto di Dio, totalmente presi da Lui, immersi nella sua felicità, e quindi liberi da ogni preoccupazione di vincere la morte. Cosa sarà dei risorti: parteciperanno pienamente alla vita di Dio, nella perfetta comunione fraterna. Inoltre, “essendo figli della risurrezione sono figli di Dio”. Vale a dire, con la risurrezione, saremo manifestati pienamente quali figli di Dio. Figli che partecipano della sua stessa vita con tutto il proprio essere anche corporeo.
Ecco allora la seconda indicazione di Gesù, rispondendo ai sadducei che non scorgevano nessun messaggio di risurrezione dei libri sacri del Pentateuco.
Gesù percorre con loro le Scritture e richiama un testo della Legge di Mosè (Es 3,6), l’unica Scrittura che i sadducei accettavano, e mostra che, letto in profondità, questo testo annuncia già la risurrezione. Dio si presenta a Mosè presso il roveto ardente, come il Dio dei Padri “Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”, si autodefinisce come un Dio in relazione con uomini morti da lungo tempo, come Abramo, Isacco e Giacobbe: come può sussistere un’alleanza con i defunti? Da ciò deriva che Abramo, Isacco e Giacobbe devono essere, in qualche modo, vivi: vivi in rapporto con YHWH.
“Dio non è dei morti, ma dei viventi”; perché tutti vivono per lui. Ciò significa che l’alleanza che Lui stringe è eterna e non può trovare ostacoli alla morte: Dio non ci ama per il breve spazio della nostra esistenza terrena, Egli ci ha amati da sempre e ci ama e ci amerà per sempre. Ebbene sì, credere nella risurrezione è “credere all’amore”, l’amore vissuto da Gesù, l’amore che porterà noi tutti a risorgere con lui per la vita eterna.

Lettore Francesco Cantarella