Aprile 24, 2024

XVI Domenica del T.O. anno C. (Luca Lc 10,38-42)

Dio ci rende visita. Il nostro Dio ci rende visita. Soprattutto quando non ce lo aspettiamo. Quando pensiamo che la speranza sia finita. E ti visita. Accorgitene. È quanto siamo chiamati a raccontare ai tanti scoraggiati, arrabbiati e sconsolati che incontriamo.

Come ministri cui Dio affida la missione di rivelare agli uomini il segreto della sua amorevole presenza, come scrive san Paolo. Anche se costa fatica, patimento. Perché in questo momento le persone hanno il cuore indurito e rassegnato. Che tristezza.

Il samaritano risuona ancora nelle nostre orecchie. Amare si declina a partire da chi abbiamo accanto. Da chi scegliamo di amare. Da chi abbiamo il coraggio di caricare sul nostro asino. Da chi ci fa compassione (non pena). Da chi ci facciamo carico. Da chi scegliamo di prenderci cura. Allora dobbiamo imparare a metterci seduti ad ascoltare come fa Maria, sorella di Marta.

Il vangelo di oggi ci dice di Dio qualcosa di grande e destabilizzante, di folle e di magnifico. Dio ha bisogno di lasciare le risse teologiche del tempio, le inutili contrapposizioni per trovare una famiglia, una casa, una cena.

Per poter essere se stesso, rincuorato, accudito. Il nostro è il Dio del pane, del buon profumo della pietanza che cuoce, del fiore di campo messo in centro al tavolo per festeggiare l’ospite. Il Dio delle piccole cose. Il Dio dei dettagli che allargano il cuore, che lo allagano. Che ci aiutano a vivere, che ci aiutano a capire l’orizzonte alto e altro.

Mi commuove alle lacrime vedere Dio intessere una relazione, che chiede ascolto, che ama sedersi con semplicità intorno ad un tavolo e ridere e scherzare.

Se potessimo, di quando in quando, invitare Dio e ascoltarlo. Facessimo diventare Betania la nostra vita!

Come è sorprendente, politicamente scorretto, eccessivo, quello che accade a Betania. Accogliere l’ospite era il compito del capo famiglia. O, comunque, del maschio. E un maschio, in quella casa, c’è: Lazzaro, che conosciamo bene grazie all’evangelista Giovanni.

Ad ascoltare i rabbini, seduti a gambe incrociate, nella rinata Gerusalemme, c’erano solo uomini. le donne non erano considerate adatte a leggere la Torah, meglio bruciarla che darla in mano ad una donna.

Una donna, Marta, accoglie il Maestro. Una donna, Maria, lo ascolta, come discepola.

Una pagina così forte che anche le prime comunità cristiane dovranno in qualche modo mitigare, lasciar cadere, armonizzare all’imperante maschilismo.

Gesù, invece, ribalta questa logica maschilista e come già fatto con sua madre, propone come modello dell’ascolto una donna.

Maria e Marta rappresentano le due dimensioni della vita interiore: la preghiera e l’azione. Maria ascolta con attenzione le parole del Maestro, se ne abbevera. Come molti, ancora oggi, pende dalle labbra del Signore, aspetta che egli parli al suo cuore.

All’origine di ogni fede, il cuore di ogni esperienza religiosa è e resta l’incontro intimo e misterioso con la bellezza di Dio. Dio che solo intravediamo attraverso le fitte nebbie del nostro limite ma di cui, pure, possiamo temporaneamente fare cristallina esperienza.

Rimettiamo la preghiera e il silenzio nel cuore della nostra giornata, come sorgente di serenità e di gioia. Anche durante l’estate portiamo con noi in vacanza il desiderio di entrare nella nostra anima, magari seduti ad ascoltare le onde del mare.

Marta realizza la beatitudine dell’accoglienza, la concretezza dell’amore e dell’ospitalità. Anche lei sa che l’ascolto del Maestro è l’origine di ogni incontro, ma sa anche che se questo incontro non cambia la vita, resta sterile e inconcludente.

Marta nutre il Cristo che Maria adora.

Non esiste una preghiera autentica che non sfoci nel servizio. È sterile una carità che non inizi e non termini nella contemplazione del mistero di Dio.

Marta viene invitata a non agitarsi e ad attingere il suo servizio dall’ascolto. Marta e Maria sono la rappresentazione di come deve essere condotta la nostra vita di fede.

Amen

diacono Alberto Iannotti