Aprile 27, 2024

Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia

Commento al Vangelo di Luca 12,13-21

La lettura del vangelo di oggi è emblematica e mette in evidenza la cosa che forse a noi, abitanti di questo mondo fa più gola che mai: il possesso dei beni, l’agiatezza, la spensieratezza che deriva dalla sicurezza apparente nel benessere.

Il vangelo si apre con una richiesta da parte di una persona al Maestro di ricevere, a buon ragione, la metà dei beni che il fratello possedeva e che quindi, riversando quest’ultimo in una condizione di sovrabbondanza, avrebbe dovuto cedergli in virtù della nullatenenza del richiedente.

Umanamente non fa una piega, anzi renderebbe anche giustizia l’equa ripartizione dei beni, addirittura è lo stesso Maestro che in altre occasioni dice di cedere a chi non ha nulla; ma stavolta le cose vanno un po’ diversamente: il Maestro dice di stare attenti, di non cadere nell’inganno del possedimento dei beni terreni ed inoltre chiede, forse un po’ provocatoriamente, da chi Lui stesso sia stato istituito come giudice o mediatore. Bella domanda, mi verrebbe da rispondere!

Chi, se non Dio solo lo abbia potuto istituire come giudice o mediatore?

Risposta scontata mi sembra, però di sobbalzo mi chiedo: «ma se è tanto scontata, perchè Gesù afferma ciò che è già noto?» Semplice, per togliere il velo dell’inganno dagli occhi delle folle e far compredere loro che la scelta spetta a Dio ed a Dio solo e non è consentito nella misura più assoluta direzionare le scelte divine in funzione dei nostri subdoli desideri; a noi invece competerebbe solo far fede ai suoi insegnamenti e non guardare e desiderare il bene del prossimo; un richiamo quindi all’essenzialità, alla fondatezza, alla fonte e non all’inutile ed effimero bene che si consuma, marcisce e muore.

Immediatamente dopo, Gesù cita una parabola che rafforza quanto ho detto in precedenza, evidenziando la misura inconsistente dei beni terreni che, inaspettatamente, nonostante le accurate pianificazioni umane, vengono meno a causa del venir meno di colui che li desiderava ardentemente (costui li stiva e li custodisce ancor più gelosamente, per goderseli poi con calma al tempo opportuno). L’attenzione della parabola è alla vita stessa, dono prezioso, da non sciupare dietro cose inutili, ma di utilizzarla invece per imparare a possedere dei beni che non si consumano e non si deteriorano, e che producono frutto succulento e prelibato, dando germe di amore, di altruismo, di virtù, di solidarietà.

Se volessi ora ripercorrere l’intero passo appena spiegato in una coerente e stringata sequenza logica farei così, proponendo due strade l’una giusta e l’altra umanamente logica:

1) vita → possesso bene celeste → godimento di Dio;

2) vita → possesso beni terreni → godimento di quanto si possiede.

Il punto n. 2 presenta un loop, non considera un dato essenziale, che è il termine della vita terrena e pertanto il godimento, è solo apparente e limitato; se consideriamo poi, che potrebbero concorrere anche altre cause a diminuire ancora ulteriormente quanto sapientemente calcolato dall’uomo, tale godimento si riduce oltremodo.

Il punto 1 invece è corretto, perchè imparando al possesso dei beni celesti, porta inevitabilmente al godimento di Dio, che avverrà in pienezza alla fine della nostra vita, ma che gustiamo, in perfetta armonia d’amore con il risorto, già in questa vita accorgendocene attraverso gli effetti che tale godimento produce in noi stessi: pace, amore, serenità, calma e ponderatezza, solo per citarne alcuni.

La scelta dobbiamo farla noi, siamo liberi, però non diciamo che non ne sapevamo nulla, perché Dio ci ha indicato la strada con tanto amore, però, rispettandoci, ci lascia liberi di seguirlo o abbandonarlo.

Diacono Daniele Raimondo